Il teatro comunica

Il teatro è vecchio, costoso, noioso, poco immediato, faticoso, inutile, inadatto, superato e non ha più nulla da dirci. Pensieri diffusi e confusi di qualche coraggioso convinto che questa “vecchia” arma artistica abbia fatto il suo tempo.

Gli odierni eserciti dell’arte sembrano avere altri piani di attacco: li raggiungi con un click senza muoverti dal divano.

E’ bello stare a casa a guardarsi un film, farsi scorpacciate notturne di serie e condividere video di youtuber con i propri amici; queste soluzioni a chilometri zero hanno messo in crisi anche l’altro compagno del tipo con il sipario, il cinema. 

Teatro in pensione dunque? In realtà le statistiche parlano di crescita e di maggiore affluenza di pubblico negli ultimi tre anni. Il vero problema è l’età media decisamente alta! 

E’ nostalgia di tempi che furono per i più grandi o totale disinteresse da parte delle nuove generazioni? Probabilmente entrambe le cose. Che il teatro in Italia abbia bisogno di una rinfrescata è certo, che dovremmo smettere di avere paura del nuovo che avanza, pure, che non per questo dobbiamo rinunciare alla nostra storia teatrale, anche.

Il teatro può parlare di tutto, di sogni, di morte, di vita, di storie, di bello, di brutto e cattivo, di identità, di violenza, di miracoli, di bene; ma per attraversare il tempo ha bisogno di rinnovarsi, di parlare lingue nuove per affascinare e coinvolgere. 

Comunicare significa compiere il proprio dovere con gli altri, è una responsabilità mettere in comune quello che so fare, permettere ad uno diverso da me di conoscere la mia realtà. Ma mettere in comune presuppone almeno un tentativo di adattare il linguaggio teatrale a quello del pubblico, non “abbassando il tiro”, rischiando di castrare un linguaggio sperimentale, ma accompagnando lo spettatore nel percorso che si vuole intraprendere.

E’ inutile voler dire tanto senza trovare il modo, così come è sterile creare spettacoli senza avere qualcosa da dire. E’ in questo modo che si svuotano le platee.

 Il teatro è comunicazione per nascita, per vocazione e se la sua voce non arriva alle nuove generazioni è perché è stata interrotta una corrispondenza fatta di impegno e coraggio da parte dei teatranti e curiosità e ascolto da parte del pubblico.

 Fortunatamente ci sono delle eccezioni sparse per il bel paese che lasciano ben sperare, che creano e sanno incuriosire, che fanno del teatro ancora il mestiere più bello del mondo, portato avanti non per un semplice salario (santo pure quello) ma per passione.

“Le persone che riparano il mondo sono quelle che amano ciò che fanno”

Se un professore ama la materia che insegna, gli studenti si appassioneranno a quella materia, se un atleta ama la propria disciplina sarà inevitabile per chi lo ascolta parlare, lasciarsi trasportare dalla sua passione; il teatro per essere rinnovato, per avere ancora pubblico deve essere prima di tutto amato. 

Pensiamo sempre che per solcare quelle tavole di legno abbiamo bisogno dell’approvazione di qualcuno, dimenticando che la prima persona con cui dobbiamo comunicare siamo noi stessi. In Lettere a un giovane poeta Rilke rispondeva così ad un ragazzo in cerca di conferme sul suo talento “Guardi dentro di sé.

Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore; confessi a se stesso: morirebbe, se le fosse negato di scrivere?” 

Il senso è: la ami questa cosa? Ami il teatro? “Moriresti” se ti venisse negata la possibilità di farlo? 

Parlare agli altri di qualcosa che a me non dice niente è un controsenso; perché qualcuno dovrebbe dedicare il suo tempo ad ascoltarmi se nemmeno io lo farei? Occorre tornare ad una comunicazione bidirezionale, che vada prima verso me e poi verso gli altri. 

Nell’era della tecnologia e della super connessione, corriamo un rischio grande, quello di dare la precedenza all’informazione veloce piuttosto che ai contenuti. Viviamo di apericena letterari. Questo pericolo il teatro non deve correrlo perché ne segnerebbe la fine.

 Se dopo un’accurata analisi arriverò alla conclusione che la mia idea di teatro è quella di “bene comune” allora dovrò “metterlo in comune”; ciò che resterà da fare sarà creare un incontro con il pubblico, sfruttando ogni mezzo, entrando in rete, conoscendo persone, aprendo le porte delle scuole e delle case, ma questa è un’altra storia.

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