Quando parliamo di teatro come terapia spesso facciamo l’errore di considerarlo un semplice strumento per superare timidezza ed introversione.
Ma fare teatro è terapeutico sempre.
Che lo accettiamo o meno. https://associazionemasc.it/il-teatro-un-ponte-fatto-di-empatia/
Aprendo la porta di questo mondo si disvela ai nostri occhi una realtà più ampia, che ha a che fare anche con psicopatologie importanti che non sembrerebbero adatte ad un approccio artistico.
Eppure “indagini” teatrali di maestri quali Grotowski e Stanislavskij hanno dimostrato che il teatro interviene notevolmente sull’Io, qualsiasi Io.
Il primo ha magistralmente abbattuto schemi mentali partendo dalla considerazione che il teatro avviene nel corpo dell’attore.
Il secondo ci ha regalato un metodo sicuro, infallibile direi, per lavorare su noi stessi.
- Limitare dunque la teatroterapia ad una “categoria” (passatemi il termine) di persone affette da ansia da prestazione (chi non lo è?), è sbagliato.
- Limitarla ad uno strumento per curare nevrosi o psicosi, è errato.
- Pensare che attori professionisti o amatoriali non facciano terapia praticando l’arte del teatro, è illusorio
Il teatro ha una vocazione terapeutica.
Il teatro è anche terapia.
Altrimenti quello dell’attore non sarebbe il mestiere più bello del mondo. (Perché è un mestiere ma questa è un’altra storia.)
Quella sensazione di benessere psicofisico che si ha uscendo da una sala prove dopo una lezione di teatro, è frutto di un contatto avvenuto con una parte di noi che ogni giorno silenziamo come un gruppo WhatsApp.
Perché noi siamo “multipli e infiniti”, abbiamo tante voci che hanno bisogno di essere almeno ascoltate.
Ma questo richiede tempo e coraggio e spesso ci mancano entrambi.
Compiamo quotidianamente azioni in modo automatico. Il teatro ce ne fa prendere consapevolezza.
Ci dimostra che noi siamo un corpo (e non solo) che si muove in uno spazio e che è presente.
Ogni nostro movimento è indice di uno stato d’animo, un pensiero, una fase della nostra vita.
Per esempio “gli adolescenti, costantemente alla ricerca di punti fermi, li trovi sempre appoggiati a qualcosa”.
Questa consapevolezza acquisita dall’analisi dettagliata dei miei movimenti, mette a fuoco l’immagine che ho di me, la rafforza e mi aiuta a costruire un Io stabile.
Gli attori anche grazie alle numerose scuole di pensiero che il passato teatrale ha lasciato in eredità, faticano (non tutti) a ritrovarsi nella spontaneità che è necessaria per “costruirsi”.
Faticano a pensare al teatro come terapia.
Spesso la fretta del portare in scena fa partire da un testo senza troppo interrogarsi su fasi precedenti che riguardano il lavoro dell’ attore su sé stesso e sul personaggio (Stanislavskij docet).
Questo accade per questioni di “mercato”.
Si è costretti a mettere in scena spettacoli nel minor tempo possibile per scarse risorse economiche.
Ma si, insomma, ci perdiamo il meglio.
Ci facciamo sfuggire la possibilità di attingere, usando il teatro come terapia, ad una fonte inesauribile di benessere reale.
È un’occasione persa di stare bene.
Perché lasciarsela sfuggire?
Vi lasciamo ad un’interessante intervista del teatroterapeuta Walter Orioli. Un uomo che da tempo si prende cura degli altri attraverso la teatroterapia. https://www.teatroterapia.it/intervista-a-walter-orioli/